DA SAPERE

Cosa significa LGBTI

LGBTI: è un acronimo comunemente usato le cui lettere stanno per “lesbica, gay, bisessuale, transgender e intersessuale”.  E’ stato adottato, dal 2015, anche dalla FRA (European Union Agency for Fundamental Rights).

Esistono anche versioni con più o diverse lettere come “LGBTQI” o “LGBTTQIA”, o “LGBTI+” o altre varianti. “Q” indica “queer”, “A” “asessuali”, la seconda “T” “transessuali” e “+” per altri orientamenti sessuali o identità di genere non normativi. Qualunque sia la sua forma, generalmente identifica coloro che non sono esclusivamente eterosessuali e/o “cis-gender”.

  • Lesbica: una donna omosessuale. Una donna che è sessualmente ed emotivamente attratta da altre donne
  • Gay: termine che significa omosessuale. Una persona gay, maschio o femmina, è sessualmente attratta da persone dello stesso sesso o genere. In molte lingue, italiano incluso, “gay” è usato più spesso per descrivere specificamente un omosessuale di sesso maschile. Quindi un uomo attratto sessualmente e emotivamente da altri uomini. Su questo sito useremo “gay” principalmente per riferirci a uomini omosessuali.
  • Bisessuale: una persona che è sessualmente ed emotivamente attratta sia da uomini che da donne.
  • Transgender (trans): una persona transgender è una il cui senso di identità personale e di genere non corrisponde col sesso di nascita. Le persone Transgender possono vivere comportandosi, vestendosi e agendo come persone del genere a cui sentono di appartenere o percepirsi distanti da entrambi i generi. Alcune persone transgender si sottopongono a interventi chirurgici per allineare il loro corpo al loro genere. 
  • Intersessuale: una persona che ha attributi biologici e genetici di entrambi i sessi.

Tutti questi termini si riferiscono al sesso, all’orientamento sessuale, all’identità di genere e all’espressione di genere. Questi aspetti vengono riassunti dalla psicologia nel concetto di identità sessuale.

  • Sesso biologico: l’insieme dei caratteri sessuali presenti alla nascita in una persona.
  • Orientamento sessuale: il fatto di essere sessualmente e/o emozionalmente attratti a persone dello stesso sesso, dell’altro sesso o a entrambi.
  • Identità di genere: il genere cui si sente di appartenere che può corrispondere al sesso di nascita (cis-gender) o no (Transgender).
  • Espressione di genere: i modi in cui le persone comunicano il loro genere e la loro identità sessuale, tipicamente attraverso comportamenti, atteggiamenti, abbigliamento, gesti, etc.

Va infine ricordata l’importante distinzione tra orientamento e comportamento sessuale: l’orientamento sessuale indica l’attrazione  prevalente in una persona sul piano sessuale ed emotivo. Il comportamento indica le persone con le quali si hanno rapporti sessuali. Per esempio, un uomo che ha avuto rapporti sessuali con altri uomini non basta a renderlo automaticamente gay.

Nel 1974 l’American Psychiatric Association e nel 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno smesso di considerare l’omosessualità una forma di patologia, definendola una ““variazione naturale dell’orientamento sessuale umano”.

Il trangenderismo non è più più considerato un disturbo psichiatrico e il DSM V la definisce come una “disforia di genere” solo quando l’identità di genere è collegata a una condizione di sofferenza.

Fino a poco tempo fa, alle persone transgender era consentito di cambiare il loro sesso e nome nei documenti di identità ufficiali solo in seguito alla riassegnazione chirurgica del sesso. Oggi, invece, alcuni Paesi consentono di adeguare i documenti di identità senza riassegnazione chirurgica del sesso.

L’omofobia, la bifobia e la transfobia colpiscono tutte e tutti!

L’omofobia, la bifobia e la transfobia non consistono solamente nella violenza contro le persone Lgbti, ma anche nelle opinioni che le discriminano e perpetuano il pregiudizio. Pensare e dire che le persone omosessuali e transgnder sono “malate”, “contronatura” o “perverse”, o pretendere che i loro diritti sociali vengano ridotti sulla base del loro orientamento sessuale, identità sessuale o espressione di genere sono tutti esempi di omofobia, bifobia e transfobia.

L’omofobia, la bifobia e la transfobia sono spesso legate al sessismo (pregiudizio di genere che lega le caratteristiche e le abilità delle persone a qualche proprietà del loro sesso piuttosto che alla loro personalità unica) e alla misoginia (odio verso le donne). Possono colpire non solamente le persone LGBTI, ma qualsiasi persona venga percepita essere al di fuori del proprio ruolo di genere e degli stereotipi (il comportamento che ci si aspetta da una persona in quanto uomo o donna, etc.), o persino persone che hanno legami con le persone LGBTI (cioè amicizia genitorialità, parentela, etc.).

Qualunque persona può essere colpita da insulti carichi di odio o da attacchi basati sui pregiudizi che sono collegati alla loro identità di genere o al loro orientamento sessuale, reali o percepiti, (per esempio l’uso di parole quali frocio, checca, puttana…) Le persone possono essere prese di mira in questo modo perché non sono in grado di fare qualcosa che ci si aspetta da loro in base al loro genere, o perché il loro comportamento è diverso da quello atteso o accettato per il ruolo di genere che viene loro attribuito.
Questo significa che L’omofobia, la bifobia e la transfobia sono strettamente connesse al sessismo e alla sfida per una reale eguaglianza di genere nello sport.

Persone Lgbti e sport

Le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali hanno caratteristicamente le stesse capacità nello sport delle persone eterosessuali. Lo sport, assieme alla scuola e alla famiglia, è uno dei contesti più importanti per la crescita personale e l’apprendimento a esprimere noi stessi e noi stesse. Per questo ogni singola persona dovrebbe avere l’opportunità di esprimersi pienamente, e sentirsi libera di parlare delle sua vita sentimentale e sessuale senza timore di subire di essere giudicata o presa in giro. A scuola, a lavoro e anche nello sport. Per vivere apertamente con le compagne e i compagni di squadra, con le allenatrici e gli allenatori senza nessun tipo di paura o di rischio.

Purtroppo lo sport, come ogni altro spazio sociale, è spesso colpito da sessismo e omofobia bifobia e transfobia. Secondo l’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali (FRA, 2014, pp. 88-89), oltre la metà di un campione di 90.000 persone LGBTI in tutta Europa evita di frequentare alcuni spazi sociali per paura di esprimere apertamente la propria identità. Nel 42% dei casi, si tratta di club e associazioni sportive.

Molte persone LGBTI non si sentono sicure, accettate o a proprio agio nell’ambiente sportivo. Questo porta a un più alto tasso di abbandono delle attività sportive da parte delle persone Lgbti, con conseguenze sul loro benessere psicofisico sia a breve che a lungo termine.

Tutte e tutti sono differenti: per orientamento sessuale e identità di genere.

Il Mobbing, il bullismo e altre forme di violenza o discriminazione possono colpire chiunque. Spesso alle persone si chiede di mostrare abilità o caratteristiche che non hanno nulla a che vedere con la performance sportiva ma piuttosto con gli stereotipi di genere. Gli uomini devono comportarsi da “macho” in ogni circostanza e se non lo fanno sono presi in giro. Le donne che praticano sport sono considerate poco femminili, e questo porta alla conclusione – spesso sbagliata – che siano lesbiche. Questo è un altro tipo di stereotipizzazione che dovremmo avere ben presente.

L’esclusione delle persone LGBTI dallo sport è un problema per tutte e tutti.

Ogni ambiente omo-bi-transfobico, sessista o in qualche modo ostile alla diversità riduce la libertà di espressione e la possibilità per tutte e tutti di dare davvero il meglio, dentro e fuori dal campo. Le relazioni tra compagne e compagni di squadra e/o con allenatrici e allenatori, con lo staff, i e le fan e le famiglie possono essere danneggiate e l’intero gruppo può perdere delle opportunità.

L’omofobia, la bifobia e la transfobia possono colpire chiunque: persone gay e persone etero, la migliore giocatrice e il più grande campione, allenatrici e allenatori, lo staff e le famiglie. Possono quindi portare a conseguenze a breve e a lungo termine, non solo per le vittime dirette di discriminazione, ma per l’intera squadra.

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